Prima di raccontarti dello stratagemma più bastardo che usano i pubblicitari per fregare gli imprenditori, voglio farti una domanda.

Come sai, se c’è una cosa che i pubblicitari sanno fare molto bene è utilizzare i desideri delle persone per portarle a fare quello che vogliono loro.

La mia domanda quindi è:

Cosa Vuole Davvero Un Imprenditore?

Non è la libertà di non dipendere da nessuno, non è la ricchezza …

Pensaci, cosa cerca davvero ogni mattina quando si alza da letto? Quale è il suo vero obiettivo?

Non vuole vendere. Non vuole guadagnare. Non vuole avere successo. E’ una cosa molto più semplice e banale.

Cosa vuole davvero?

Vuole quello che vogliamo tutti.

Vuole essere felice.

Un imprenditore vuole essere felice.

La vendita, il guadagno, sono importanti perché assicurano la base materiale per essere felici.

Ma è soltanto un mezzo, non il fine.

Biologicamente la felicità è determinata più dalla biochimica che dalla nostra situazione economica o sociale.

Non reagiamo mai agli eventi del mondo esteriore, ma soltanto alle sensazioni del nostro organismo.

Se parli del concetto di felicità con uno scienziato ti dirà che nessuno è mai diventato felice per aver guadagnato dei soldi o per aver venduto qualcosa.

Le persone diventano felici solo e soltanto grazie a un’unica causa: sensazioni piacevoli nel loro corpo dovute a scariche elettriche tra neuro trasmettitori.

Adesso Immagina…

Sei un imprenditore, stai partecipando a  una serata di gala di qualche tipo, un incontro di un club tipo Rotary, magari assieme a molti dei tuoi migliori clienti, un ambiente dove ci tieni venga riconosciuto il tuo prestigio.

Le persone ti si avvicinano, ti fanno i complimenti, ti battono le mani sulle spalle e sorridono ammirati: Hanno visto la campagna pubblicitaria della tua azienda e la trovano semplicemente geniale.

L’idea in generale, le foto, il testo… ma come ti è venuto un lampo del genere? Agli occhi di tutti sei tu l’artefice di tutto quanto.

In fondo sei stato tu che hai scelto l’agenzia pubblicitaria, hai dato gli input giusti durante l’incontro e poi hai selezionato l’idea creativa vincente tra le tante che ti sono state proposte.

Puoi  prenderti una fetta di merito e goderti il tuo quarto d’ora di celebrità.

Degli annunci e delle mega affissioni della tua azienda ne hanno parlato anche i quotidiani, e la versione web della campagna è stata condivisa sui social a manetta da centinaia e centinaia di persone. Qualcuno l’ha trovata un tantino troppo “forte”, irrispettosa e sopra le righe e l’ha contestata è vero, ma a te non importa molto.

Ne stanno parlando tutti. Le persone l’hanno notata, lo slogan sta entrando nel linguaggio della gente, sul web girano già anche alcune parodie.

La tua campagna sta funzionando alla grande. probabilmente sarà premiata in un Festival dell’Advertising in Francia, l’agenzia te lo ha comunicato proprio la sera prima.

Sei felice, soddisfatto, hai fatto centro. I tuoi concorrenti avranno forti dolori di stomaco, non riusciranno mai a contrastare tutto questo tuo successo.

Hai vinto tu.

Stai godendo come un matto, ma non perché credi che i tuoi guadagni adesso schizzeranno alle stelle.

In realtà stai reagendo all’uragano di sensazioni che si stanno scatenando dentro di te.

Sei percorso da brividi lungo la schiena, onde di elettricità percorrono il tuo corpo al galoppo, e ti sembra di dissolverti in milioni di sfere di energia positiva.

Adesso devi solo fare in modo che la prossima campagna abbia lo stesso successo.

Taaac! Ecco la fregatura:

Il Maledetto Bug Nel Cervello Di Un Imprenditore

Leggi bene quello che ti scriverò adesso se vuoi capire finalmente una delle leve più micidiali sfruttate dai pubblicitari per fregarti.

Nel cervello di un imprenditore, a livello biochimico, non c’è differenza tra la felicità derivata da una nuova vendita e la soddisfazione di una persona che lo riempie di complimenti per la sua campagna pubblicitaria.

Ti assicuro che le zone più profonde della tua mente non ne sanno un cavolo di vendite, guadagni e ritorni economici sugli investimenti.

Conoscono soltanto le sensazioni.

La cattiva notizia (ma ottima notizia per i pubblicitari furbi…) è che le sensazioni piacevoli svaniscono molto in fretta e altrettanto in fretta si trasformano in sensazioni spiacevoli.

Nessun singolo evento garantisce uno stato di beatitudine, gioia e godimento per tutta la vita.

Se l’anno scorso una ragazza bellissima avesse accettato il tuo invito a cena, o se finalmente tu fossi riuscito a prendere quel cliente che volevi da tanto tempo potresti stare tuttora con quella ragazza o quel cliente potrebbe lavorare ancora con te mentre le piacevolissime sensazioni che avevi sperimentato in quel magico istante dorato sono scomparse dopo pochi giorni o addirittura poche ore.

Se vuoi ripetere l’esperienza di quel fantastico stato psicofisico, devi ottenere una nuova gratificazione. E un’altra ancora. E se non ne ottieni altre potresti sentirti più sfigato, povero e perdente che se non avessi mai ottenuto nulla.

Il nostro imprenditore non avrà conservato nulla della felicità generata dalla sua campagna pubblicitaria quando la campagna seguente passerà inosservata.

E’ Tutta Colpa Dell’ Evoluzione, Bellezza. Non Puoi Farci Nulla.

 

Per millenni il nostro sistema biochimico si è adattato per aumentare le nostre capacità di sopravvivenza e riproduzione, non gli è mai fregato nulla della nostra felicità.

Il sistema biochimico ricompensa le azioni che favoriscono la sopravvivenza e la riproduzione con sensazioni piacevoli (l’apprezzamento dei simili e il possesso di “roba nuova da scambiare” – i soldi, in questo caso – per lui sono fattori che raggiungono lo stesso risultato), ma questi sono solo fetenti stratagemmi di vendita.

Noi lottiamo come matti per ottenere cibo, buoni affari, e partner al fine di evitare le spiacevoli sensazioni dovute alla fame, al freddo e alla solitudine e per godere di gustosi sapori in casette calde e incontri gioiosi che cerchiamo di trasformare in orgasmi.

Tuttavia la piacevolezza dei sapori, il brivido degli affari andati in porto e la gioia degli orgasmi non durano a lungo, e se vogliamo ripetere l’esperienza dobbiamo darci da fare per procurarcene altre al più presto.

Il piacere è passeggero perché se gli uomini conservassero per sempre il piacere e la goduria del primo orgasmo avuto e tanto bastasse loro per restare felici non cercherebbero disperatamente di averne altri, vista anche la posizione ridicola e la spesa eccessiva che dobbiamo sostenere…

E l’umanità si estinguerebbe.

 

E’ La Biochimica a Fregare Gli Imprenditori

Questo meccanismo che spinge avanti l’evoluzione e favorisce la sopravvivenza è pure il bug di sistema nella testa dei clienti che le agenzie pubblicitarie sfruttano da anni.

Gran parte dei pubblicitari, in realtà, continua a venire pagata solo per non smettere di gratificare il cliente attraverso la creazione di una stupefacente macchina che lusinghi la sua autostima.

La loro missione si può dire completata con successo quando sono riusciti a indovinare una campagna pubblicitaria che piaccia A LUI, al cliente (che sia uno o che sia un consiglio di amministrazione) e al suo cerchio sociale (amici, colleghi, familiari etc) e che possa in qualche modo procurargli piacere, farlo apparire più grande, forte e vincente.

Che poi questo aumenti anche le vendite o la quota di mercato dell’azienda è spesso considerato un piacevole effetto collaterale.

(mi rifereisco sempre alla piccola media impresa italiana, perché ovviamente il gioco di una multinazionale è totalmente una cosa a parte, dopo ne parliamo)

Il processo corretto dovrebbe essere:

 

quando invece accade una falla di sistema e come spesso accade si salta un passaggio e il processo è:

 

 

ed è la sola esistenza della campagna a generare gioia e gratificazione nel cliente senza nessun fattore legato al fatturato le cose iniziano ad andare male: prima o poi le aziende finiscono i soldi da destinare al marketing, e questo, insieme al fatto che ovviamente il fatturato non sale, perché la campagna è studiata per essere figa e non per dare almeno una ottima ragione ai clienti dell’azienda per spendere più soldini genera la tempesta perfetta.

L’uragano che spazza via di colpo tutta la felicità del cliente perché i conti sono in rosso, le banche sciolgono i loro cani da battaglia, i fornitori battono alla porta coi forconi e arrivano tutte quelle cattive sensazioni che si hanno quando si ha l’acqua alla gola.

“Giunti, Ascolta: Ma Ci Hai Preso Per Idioti?”

Penseranno molti, leggendo questo post.

 Noi non continuiamo per anni a buttare via soldi dandoli a una agenzia pubblicitaria che non produce risultati in termini di guadagno!

Posso dire rispettosamente che lo vedo accadere dal 1992?

Non c’entra l’intelligenza. La colpa è di una tremenda trappola mentale, che adesso ti rivelerò, in cui ho visto cadere alcuni tra gli imprenditori più abili e scaltri che io abbia mai conosciuto nella mia vita.

Moltissimi anni fa ho partecipato a decine e decine di riunioni tra gli alti vertici delle aziende e le agenzie pubblicitarie nelle quali lavoravo, dove venivano approvati budget stratosferici per campagne che sapevo per certo non avrebbero lasciato alcuna traccia nel diagramma degli utili.

Tutti giù, vittime della Trappola dei Costi Sommersi.

Per altri versi ci cadiamo tutti continuamente, quasi ogni giorno.

E’ molto difficile sfuggirle perché si tratta di qualcosa di infido che inganna la nostra mente, e appare ogni volta come la scelta più sensata.

Ho già scritto della Trappola dei Costi Sommersi, e puoi andare a leggere se ti interessa imparare a difenderti e capire come funziona.

Ma c’è di più…

Sono varie le armi psicologiche nell’arsenale pubblicitario.

Quella di cui ti voglio parlare adesso è una sindrome che colpisce spesso la politica quando ha bisogno di dare un minimo di senso a certe sofferenze e alti prezzi fatti pagare al popolo, e che torna molto utile ai pubblicitari per continuare a far sacrificare soldi ai loro clienti anche se quei poveri soldi i loro clienti non se li vedono mai tornare indietro…

Dopo il pippone sulla neurobiologia di prima ce la fai a seguirmi ancora se adesso ti racconto una storia?

Fregare Gli Imprenditori Con La Sindrome: “I Nostri Ragazzi Non Sono Morti Invano”

Questa non è una storia, ma è proprio LA Storia, con la S maiuscola.

Nel 1915 l’Italia entrò in guerra, con lo scopo dichiarato di “liberare” Trento e Trieste, due territori che secondo noi italiani erano occupati ingiustamente dagli austroungarici.

Motivati e pompati dai discorsi infuocati dei politici dell’epoca, pensando di partire per una gita in campagna a caccia di rane, centinaia di migliaia di giovani andarono al fronte al grido “Per Trento e per Trieste”.

Inutile dire che come i pifferi di montagna, andarono per suonare e furono suonati di santa ragione.

L’esercito austroungarico si serrò una impenetrabile linea difensiva lungo il fiume Isonzo e sbaragliò nel sangue ben undici assalti italiani.

Nella prima battagli furono trucidati 15.000 uomini, nella seconda 40.000, nella terza 60.000 e così via per due lunghi e drammatici anni fin quando, dopo l’undicesima battaglia, gli austroungarici presero l’iniziativa e nella famosa battaglia di Caporetto respinsero indietro gli italiani massacrando nelle loro trincee quelli che non riuscirono a ritirarsi in tempo.

La gloriosa impresa che avrebbe dovuto riportare l’Italia agli splendori dell’antica Roma alla fine si trasformò in un lavoro di bassa macelleria: 700.000 morti e un milione di feriti e invalidi.

Ma perché undici battaglie?

Perché i governanti italiani nei due anni precedenti non fecero marcia indietro e siglarono un trattato di pace?

Gli austroungarici non erano minimamente interessati a combattere, non avevano nessuna pretesa dall’Italia, erano impegnati a combattere contro il fortissimo esercito russo e sarebbero stati felicissimi di disimpegnare uomini, risorse e mezzi.

Eh già, facile, e cosa avrebbero dovuto dire i politici italiani alle mogli, alle madri e ai familiari delle migliaia di soldati morti?

Ops, mannaggia. Abbiamo fatto una scemenza, scusate. Spero non sia un problema per voi se Giovanni e Antonio sono morti inutilmente con una baionetta che gli ha trapassato lo sterno

Direi di no, meglio quindi molto meglio dichiarare fieri:

Giovanni e Antonio sono degli eroi. Hanno dato la vita per la nostra patria. Ci assicureremo che il loro sacrificio non sia stato inutile, e continueremo a combattere finché Trieste e Trento saranno nostre.”

e poi giù a ordinare una nuova battaglia, e poi un’altra ancora dopo ogni sconfitta …perché “I nostri ragazzi non sono morti invano”.

E se per un politico sarebbe stato difficile dire a una madre che suo figlio è morto senza alcun buon motivo, sarebbe stato ancora più duro per le vittime rimaste mutilate non potersi attaccare con tenacia a una motivazione sensata per il danno fisico e morale ricevuto.

Allo stesso modo un imprenditore che sta spendendo soldi da tempo senza vedere risultati preferisce raccontare a se stesso (imbeccato dalle agenzie pubblicitarie):

“Sto investendo nella creazione del mio Brand e per penetrare il mercato serve tempo.
Smettere adesso vorrebbe dire buttare via i soldi spesi per il lavoro fatto fino ad oggi”
piuttosto che
“Ho buttato un sacco di soldi perché sono stato così stupido da dare retta a un branco di creativi esaltati che hanno usato il mio budget per finanziare le loro fantastiche idee e farmi sentire figo”

Che poi i pubblicitari che sostengono che un Brand ha bisogno di tempo, e cura, e costanza per affermarsi e crescere hanno anche totalmente ragione.

I brand si creano lentamente… ok, ma i soldi devono arrivare subito.

Ricorda la regola d’oro:

Ogni annuncio pubblicitario per il quale spendi soldi deve farti rientrare velocemente dell’investimento e farti guadagnare più che può.

 

“Non Siamo Mica La Apple, Noi”

Mi dicono spesso alcuni miei clienti quando gli presento la mia strategia pubblicitaria.

Me lo dicono quando gli spiego che non basterà “fare qualcosa su internet” o “qualche uscita sul giornale” per avere più clienti, ovvero fatturato, ma servirà un piano un più intelligente, complesso e strutturato che probabilmente vada a rivedere tutto il marketing della azienda.

E loro mi ricordano che “non sono mica la Apple”, come se la cosa mi fosse disgraziatamente sfuggita. Ah che sbadato…

Però è esattamente “come se fossero la Apple” che vorrebbero muoversi con la loro pubblicità: un annuncio geniale, che poi diventi pure virale, brillante e differente che attiri sulla pubblicità della loro azienda (la keyword è “sulla pubblicità” non “su l’azienda”) l’attenzione di tutti.

E io ogni volta devo spiegare che no, diventerebbe un mattatoio come quello di Caporetto per i loro soldi, continuerebbero sacrificarne tantissimi senza mai riuscire a segnare un punto a loro favore.

La pubblicità fatta solo per immagine, che non porti dei risultati economici certi, veloci e misurabili, è pe-ri-co-lo-sis-si-ma per le piccole medie imprese. E io non la faccio.

(ho già parlato del perché del perché la pubblicità creativa non va bene per le aziende, appoggiandomi sulle spalle del gigante Al Ries)

o almeno non la faccio… più.

Come Sono Diventato Cattivo (e Poi Di Nuovo Buono)

 

Confesso di essermi pagato per anni lunghe vacanze invernali e estive, l’affitto di loft di 150mq nel centro di Firenze e le migliori crocchette per i miei cani con le fatture che spremevo come pubblicitario da numerosi clienti semplicemente dandogli la soddisfazione di una campagna pubblicitaria proprio come la sognavano.

Quello che la natura mi ha tolto in simpatia e bellezza me lo ha restituito in un certo tipo di sensibilità, e sono sempre stato molto rapido a capire il tipo di comunicazione che volevano i clienti e gliela davo senza discutere e senza preoccuparmi minimamente di spiegargli che sarebbe stata inefficace.

Volevano campagne con annunci aggressivi, intellettuali, morbidosi, scandalosi, divertenti, romantici… anche se vendevano trapani. E quelli avevano.

Oltre a venirmi abbastanza facile scrivere, fare giochi di parole e inventare storie, raccolgo e studio tonnellate di libri di annunci pubblicitari internazionali dal 1988.

Sì, a 17 ero un nerd dell’advertising che invece di seguire le gesta di Roberto Baggio e fare le impennate col motorino passava le domeniche a tradurre le pagine dei grandi annual di pubblicità americani e mandare a memoria i manuali dei maestri del marketing e dell’advertising che mi sforzavo di leggere come il tipo che in Matrix legge direttamente il linguaggio della matrice che crea mondo.

Arrivato alla soglia degli anni 2000, quindi, avevo immagazzinato, in testa gran parte di tutta la migliore letteratura su pubblicità e marketing scritta fino a quel momento, ma anche migliaia e migliaia di annunci, testi, foto, slogan e spot dagli anni 30 fino agli attuali di agenzie di ogni parte del mondo che potevo adattare, modificare e lanciare con nonchalance sul tavolo della sala riunioni di un cliente con la naturalezza di Jocker quando fa volare contro gli avversari le sue carte da gioco micidiali.

Ma… non ero sempre stato così.

Come ogni vero cattivo non ero nato cattivo, lo ero diventato a causa di alcune cause scatenanti.

Per anni, qualche tempo prima, quando lavoravo come Copy Junior in alcune note agenzie pubblicitarie in Italia ma anche statunitensi, forte dei miei studi matti e disperati dei pubblicitari americani della Golden Age che già negli anni 50 mettevano in guardia i clienti dagli annunci creativi che non vendevano, ci avevo messo tutta la forza testarda del mio idealismo giovanile per migliorare le campagne alle quali partecipavo e farle funzionare meglio in termini di vendita ma ogni volta venivo fatto stare zitto e preso in giro dai Senior dei quali ero schiavo che poi mi facevano la lezioncina: “Sì, belli Ogilvy, Reeves, Ries ma è roba vecchia… la pubblicità oggi non serve più solo a vendere” e poi venivo appeso per il collo a dondolare in sala mensa con un cartello addosso “IO VOLEVO USARE UNA USP”

(Spiegato da cani, la USP è la parte dell’annuncio che dice quale beneficio/caratteristica/superpotere ha quel prodotto che i prodotti della concorrenza non hanno. Dovrebbe essere quello che ti spinge a comprarlo. Capisci bene che se un annuncio non ti dice perché cavolo dovresti comprare quel prodotto, come staresti meglio dopo averlo comprato, e perché non puoi sostituirlo con un prodotto della concorrenza di che diamine stiamo parlando…?)

Erano i primi anni 90, non si parlava ancora di awareness e lovemark che sono mostri generati dal sonno della ragione del marketing arrivati un pò dopo, ma già eravamo in piena epoca spettacolarizzazione della pubblicità, intesa come intrattenimento, originalità a tutti i costi e forma d’arte con lo scopo di coinvolgere, scuotere, divertire, stupire, far pensare, emozionare, innamorare e commuovere… e vendere, se capita.

E’ di quegli anni credo la famosa frase di Pasquale Barbella, uno dei massimi nomi riconosciuti della pubblicità italiana: “Il Pubblicitario Non è Un Venditore, ma Un Seduttore”.

Mi piacerebbe a questo punto affermare che la causa del mio abbrutimento creativo sono stati i calci in faccia presi durante il mio addestramento Jedi di pubblicitario, e invece no.

A mettermi sulla strada sbagliata, suo malgrado, è stato qualcuno di molto più vicino a me: il mio babbo.

Tutto Quello Che So Sulla Soddisfazione Del Cliente L’ho Imparato A Cinque Anni.

Il mio babbo è un parrucchiere, non un pubblicitario.

Un parrucchiere tecnicamente nella media, per sua stessa ammissione, ma che ha raggiunto un buon successo per aver avuto l’intelligenza di capire fin da subito quale fosse realmente il suo vero lavoro.

Venditore di emozioni, spacciatore di autostima spray o spalmata sui capelli dai tubetti di colore e riflessa allo specchio.

Una donna va dal parrucchiere per piacersi, per piacere al marito, per essere più seducente e trovare un fidanzato, per tagliarsi i capelli, regalarsi una nuova immagine e tagliare col passato.

Ma nessuna donna torna a farsi restituire i soldi e non cambia parrucchiere se il marito la molla per la commercialista o se nessun uomo risponde ai suoi messaggi su whatsup

Anzi, torna ancora di più dal parrucchiere per sentirsi ancora bella, e riaccendersi di speranza, fare il pieno di autostima.

E un parrucchiere se fa uscire una cliente con un brutto taglio, ma riesce comunque a farla sentire bene, bella e contenta del suo nuovo stile ha raggiunto il suo scopo, non deve fare altro.

Ho visto coi miei occhi, negli anni, tagli sbagliati o colori venuti diversi da come dovevano essere venduti alle clienti come innovazioni stilistiche appositamente studiate e cercate che le hanno fatte uscire dai saloni felici come una Pasqua e prese dalla frenesia di affrontare il mondo col loro nuovo look fenomenale.

Le clienti non sono state truffate, non sono state ingannate e raggirate. Nessuno ha venduto loro merda per oro. Hanno correttamente ricevuto  quello che sono andate a comprare: La percezione di essere più belle. La speranza di diventare più popolari, ammirate, invidiate.

È così, dopo aver aperto la mia agenzia pubblicitaria, e aver fatto molta fatica a far accettare ai miei preziosi clienti campagne basate su argomentazioni e analisi di marketing e vendita, con concetti come il posizionamento e l’ advertising diretto piuttosto che sull’idea fulminante o il guizzo creativo, tornarono a suonare nelle mie orecchie le parole del mio babbo:

“Sei troppo rigido con i tuoi clienti. Li devi accontentare. Ricordati che non c’è migliore pubblicità della soddisfazione del cliente“

Io facevo una fatica boia a lavorare alla mia maniera: è massacrante studiare una campagna pubblicitaria con intelligenza invece che con creatività, devi tenere conto di un sacco di variabili, dati, fattori, analisi sulla concorrenza, andare a cercare e studiarti i risultati ottenuti da campagne del passato fatte per prodotti o servizi simili, considerare le evoluzioni del mercato, le tendenze, esaminare il materiale pubblicitario vecchio dell’azienda, parlare a lungo col cliente per carpire informazioni preziose che magari lui non considera tali… non è come buttare lì una boutade provocatoria e paradossale che colpisca l’attenzione.

Non voglio sminuire il lavoro creativo e farla facile. Trovare continuamente idee brillanti può essere un lavoraccio che richiede talento e cultura ma ammetterai anche tu che il lavoro che c’è dietro, ad esempio, a tutta la preparazione di un processo per un avvocato è una cosa diversa, più pesante e che raggiunge un risultato differente dalla scrittura di un monologo comico.

Il lavoro del pubblicitario fatto bene ha tantissimi punti in comune col lavoro dell’avvocato e pochissimi con quello del comico.

Adesso immagina un avvocato che ha riflettuto, pensato, analizzato, studiato faldoni enormi di dati, cifre e informazioni per trovare un buon angolo di attacco che permetta al suo cliente di evitare la sedia elettrica e che poi quando presenta la sua strategia difensiva si sente rispondere dal cliente: “Mmm, si interessante… ma si potrebbe avere qualcosa di più divertente? A mia figlia non piace tanto…”.

Frustrante, no?

Anche perché, come ho detto, al contrario trovare idee fulminanti che piacessero quasi immediatamente ai clienti a me veniva molto facile.

Ecco perché piano iniziai ad attaccare il ciuco dove voleva il padrone, e a pensare che in fondo quella era la mia missione, così come il mio babbo, ero lì per rendere felice il mio cliente, per dargli una botta di endorfine grazie al possesso del suo nuovo simbolo di potere che lo avrebbe reso ammirato e avrebbe fatto parlare in giro: una campagna pubblicitaria nazionale brillante, d’impatto e controcorrente.
Esattamente come me l’aveva chiesta.

E così in pochi anni i fatturati dei miei clienti non avevano grandi alzate di testa ma la mia agenzia pubblicitaria invece cresceva e fatturava eccome. Da una stanzetta minuscola dove lavoravo da solo con un computer e una stufetta con la bombola del gas a un intero piano con sette persone regolarmente assunte in soli cinque anni.

E Poi Cosa è Successo?

 

Poi sono successe varie cose.

Una è che sono cresciuto.

Forse diventare all’improvviso padre di due gemelle ha risvegliato in me un nuovo senso di responsabilità per le mie azioni e la voglia di dare un contributo positivo alle cose del mondo.

Un’altra è che sono venuto in contatto con alcuni personaggi che stavano portando avanti una rivoluzione importante nel marketing in Italia, in particolare con l’imprenditore e esperto di marketing Frank Merenda il quale mi ha convinto a smettere di fare il cretino e tornare a fare davvero il pubblicitario professionista, lasciare che fossero le altre agenzie a fare campagne creative emozionali d’immagine e riprendere in mano le corrette tecniche di advertising che avevo studiato e con le quali ero partito.

Mi sono convinto che i tempi delle vacche grasse sono finiti, la pubblicità è diventata davvero troppa e inefficace, le aziende si stanno risvegliando intontite come la reginetta di bellezza fatta ubriacare alla festa di fine anno per portarla a letto e oggi più che mai hanno davvero bisogno di qualcuno che le aiuti a far girare bene il loro business.

Il mondo adesso finalmente è pronto ad ascoltare.

Sta nascendo una nuova consapevolezza negli imprenditori che ora hanno capito che il marketing deve portare risultati concreti e misurabili, che le loro aziende devono essere aiutate a differenziarsi dalla concorrenza, definire benefici unici e specifici da offrire a persone adatte e disposte ad acquistare, invece di scannarsi per il prezzo.

E saranno sempre meno i clienti disposti a scherzare coi loro budget pubblicitari e a gratificarsi per un migliaio di like ai loro annunci su Facebook.

Gli imprenditori smetteranno presto di farsi raccontare dai pubblicitari che la pubblicità è un investimento che paga i suoi utili col tempo, basta tenere duro e non smettere di buttarci soldi, anche se non torna indietro mai nulla.

E allora io voglio essere nella squadra dei buoni.

Così ho chiuso il cerchio e da diversi anni sono tornato a lavorare seriamente così come ero partito, come un Samurai votato all’efficacia dell’advertising.

 

Vuoi Lavorare Con Me?

 

Non è facile lavorare con me, non sono accomodante, sono pignolo, minuzioso, discuto spesso coi clienti, perché mi rifiuto di fare campagne d’immagine per accontentarli, e spesso li perdo. Pace.

Il mio cliente ideale è un imprenditore già passato attraverso idee fulminanti ma senza risultati e che ora si è rotto le scatole e vuole risultati.

Magari un po’ sfiduciato dalle passate cattive esperienze con agenzie pubblicitarie, consulenti e web agency ma che sa che non può fare a meno  di investire nel marketing per far funzionare al massimo la sua azienda e desidera essere affiancato da qualcuno pronto a puntare tutti i suoi cannoni contro la concorrenza e portarlo in una zona ricca e possibile da dominare.

Mi facilita molto la vita lavorare con chi ha già avuto brutte esperienze in passato con le agenzie pubblicitarie, così siamo subito sintonizzati sulle cose da non fare e iniziamo a lavorare per portare risultati.

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Questo tuo approccio, stile e concretezza mi hanno stimolato a mille nuove idee e nuovi approcci al mercato che nel mio settore di business credevo non possibile” Alessandro Memmi, fondatore e CEO di More One.

 

Alessandro Memmi è amministratore delegato di una azienda che fornisce assistenza informatica e supporto hardware agli istituti bancari, c’è poco da fare i creativi….

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